Sui passi di Francesco e Chiara
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In cammino verso la Santa Pasqua

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Messaggio  Pace e Bene Sab Mar 12, 2011 11:44 am

13 marzo 2011:

Prima domenica di Quaresima

In quel tempo, Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto, per essere tentato dal diavolo. Dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, alla fine ebbe fame. Il tentatore gli si avvicinò e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, di’ che queste pietre diventino pane». Ma egli rispose: «Sta scritto: “Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”» [...]. Allora il diavolo lo lasciò, ed ecco degli angeli gli si avvicinarono e lo servivano.

(Matteo 4,1-11)

A chi ha Dio nulla gli manca

«Non tentare il Signore Dio tuo» (Mt 4,7). La prima domenica di Quaresima ci conduce nel deserto, luogo dell’anima, dove ognuno, lontano dal rumore del mondo, rientra in sé stesso per ascoltare nel segreto la sua coscienza. Soli nel silenzio del deserto, digiunando dal superfluo, ognuno di noi sa se ha fame di Dio o desidera altro. Chi davvero ha Dio nel cuore sa che nulla gli manca e, consapevole delle sue umane debolezze, riconosce ogni sua colpa. Ha una sola preghiera sulle labbra: «Crea in me, o Dio, un cuore puro, rinnova
in me uno spirito saldo» (Sal 51,12).

Chi invece è pieno di sé, chi non ha nulla nel cuore, ha fame di altro e lascia spazio a ogni sorta di tentazione. Soggiace alla seduzione del serpente e farebbe di tutto per mangiare
il frutto proibito, per decidere da sé cosa è bene e cosa è male e piegare Dio ai suoi bisogni: «Trasforma lemie pietre in pane, salvami da ogni precipizio, dammi tutti i regni della terra». Senza accorgersi di adorare altri dei, permette al diavolo, il divisore, di separarlo da Dio. E quando le cose non gli vanno bene, quando non ottiene ciò che desidera, si chiede inutilmente perché dall’alto non arrivi il miracolo a soddisfare le sue richieste.

Anche Gesù fu portato nel deserto, anche lui, dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, ebbe fame e fu tentato dal diavolo, ma il Figlio dell’uomo, simile a noi fuorché nel peccato, non cade nella sua trappola, non si lascia sedurre. Egli sa che Dio è pronto a donare la manna dal cielo per sostenere i suoi figli nel deserto, ma sa anche che
«non di solo pane vivrà l’uomo» (Mt 4,4). Sa che il nutrimento dello spirito è più importante, sa che il culto del danaro non può renderlo felice, perché solo l’accettazione della volontà del Padre può saziare la sua anima: «Adorerai il Signore Dio tuo» (Mt 4,10). Alle provocazioni del diavolo, che cristallizzano le tre tentazioni più comuni dell’uomo, Gesù
risponde sempre: «Sta scritto...» (Mt 4,6.7.10), come a dire che solo nella fedeltà alla Parola si trova la felicità. Una Parola inappellabile, che si accetta con il cuore o non si accetta, ma non si discute.

Pregare per chiedere una grazia è certamente lecito e il miracolo può arrivare, ma non arriva certo per soddisfare i falsi bisogni di una umanità affamata di potere. Il miracolo non arriva se nella smania di conquistare tutti i regni della terra, divisi da Dio, non ci accorgiamo che, caduti nella trappola del tentatore, stiamo pregando con le sue parole. Chi ha fame di Dio non si lascia ingannare, non tenta il Signore, si nutre della sua Parola e una sola cosa gli chiede: «Non respingermi dalla tua presenza e non privarmi del tuo santo spirito» (Sal 51,13).


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Messaggio  Pace e Bene Mar Mar 29, 2011 10:06 am

VANGELO (Mt 18,21-35)

Se non perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratello, il Padre non vi perdonerà.

+ Dal Vangelo secondo Matteo

In quel tempo, Pietro si avvicinò a Gesù e gli disse: «Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?». E Gesù gli rispose: «Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette.
Per questo, il regno dei cieli è simile a un re che volle regolare i conti con i suoi servi. Aveva cominciato a regolare i conti, quando gli fu presentato un tale che gli doveva diecimila talenti. Poiché costui non era in grado di restituire, il padrone ordinò che fosse venduto lui con la moglie, i figli e quanto possedeva, e così saldasse il debito. Allora il servo, prostrato a terra, lo supplicava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa”. Il padrone ebbe compassione di quel servo, lo lasciò andare e gli condonò il debito.
Appena uscito, quel servo trovò uno dei suoi compagni, che gli doveva cento denari. Lo prese per il collo e lo soffocava, dicendo: “Restituisci quello che devi!”. Il suo compagno, prostrato a terra, lo pregava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò”. Ma egli non volle, andò e lo fece gettare in prigione, fino a che non avesse pagato il debito.
Visto quello che accadeva, i suoi compagni furono molto dispiaciuti e andarono a riferire al loro padrone tutto l’accaduto. Allora il padrone fece chiamare quell’uomo e gli disse: “Servo malvagio, io ti ho condonato tutto quel debito perché tu mi hai pregato. Non dovevi anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?”. Sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non avesse restituito tutto il dovuto.
Così anche il Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratello».

Parola del Signore


Il perdono virtù e convenienza.


Pietro, con i suoi slanci di generosità e le sue grandi paure, ben ci rappresenta quando chiede a Gesù i limiti del perdono, sempre rapportati ai limiti della pazienza. L'espressione fino a sette volte», potrebbe sembrare indice di generosità ed equivale al nostro «quasi sempre». Gesù, pensando alla sua missione e alla sua passione, corregge e toglie ogni limite al perdono: «Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette». È l'anticipazione del comandamento nuovo, che è confermata dalla parabola che segue. Viene messa sotto i nostri occhi una situazione che suscita immediatamente sdegno per il comportamento assurdo del servo spietato. Un assurdo che, prima della nostra suscettibilità religiosa, offende ed irrita la sensibilità umana: come è possibile ricevere un così grande condono, ottenere tanta pietà e misericordia per un debito così rilevante e poi negarla crudelmente ad un proprio simile, che ci deve solo pochi spiccioli? È proprio vero che il male più sfacciato, prima di offendere Dio offende la nostra intelligenza. È altrettanto vero però che, una volta accecata la coscienza, il male può calarsi liberamente negli abissi più profondi. Ci capita infatti di dimenticarci di tutto il bene che abbiamo ricevuto dal buon Dio, di quanto egli ha fatto per noi, dell'incarnazione del Verbo, della sua passione, della sua morte, del condono pieno e totale dei nostri debiti, quando neghiamo misericordia al nostro prossimo. Assumiamo esattamente lo stesso atteggiamento del servo malvagio del Vangelo. Purtroppo capita anche ai così detti buoni cristiani. Non dovremmo mai dimenticarci delle parole che ogni giorno ripetiamo nella nostra preghiera come impegno al Padre: «Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori». È la via della riconciliazione con Dio e con il nostro prossimo: è la via della pace, garantita da Gesù stesso.


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Messaggio  Pace e Bene Mer Apr 06, 2011 2:35 pm

10 Aprile 2011

Il racconto della risurrezione di Lazzaro è una delle “storie di segni” che racconta san Giovanni. Egli mira a presentare Gesù, vincitore della morte.


“ Chi crede in me non morirà in eterno.” (Gv 11, 34-35)

34 «Dove l’avete posto?». Gli dissero: «Signore, vieni a vedere!». 35 Gesù scoppiò in pianto.

(Gv 11, 39-44)

Disse Gesù: «Togliete la pietra!». Gli rispose Marta, la sorella del morto: «Signore, manda già cattivo odore: è lì da quattro giorni». Le disse Gesù: «Non ti ho detto che, se crederai, vedrai la gloria di Dio?». Tolsero dunque la pietra. Gesù allora alzò gli occhi e disse: «Padre, ti rendo grazie perché mi hai ascoltato. Io sapevo che mi dai sempre ascolto, ma l’ho detto per la gente che mi sta attorno, perché credano che tu mi hai mandato». Detto questo, gridò a gran voce: «Lazzaro, vieni fuori!». Il morto uscì, i piedi e le mani legati con bende, e il viso avvolto da un sudario. Gesù disse loro: «Liberàtelo e lasciàtelo andare».
Molti dei Giudei che erano venuti da Maria, alla vista di ciò che egli aveva compiuto, credettero in lui.

Ed ecco il miracolo più bello che completa i miracoli fino ad ora compiuti. Ha risanato i lebbrosi, ha ridato la vista ai ciechi, ha fatto camminare gli storpi. Ed ora? Il suo amico è morto ed egli lo resuscita, si … il suo amico.

Ma anche noi siamo suoi amici, allora resusciterà anche noi, se avremo fede in lui non moriremo in eterno. Ha svegliato Lazzaro urlando il suo nome, ma non sentiamo che urla anche il nostro?
Ci chiama per farci uscire fuori dalle nostre tombe, dalle nostre tenebre, dai nostri pregiudizi, dai nostri schemi, e soprattutto dai nostri egoismi.

Prendiamo in mano il vangelo e lasciamoci affascinare dalla tenerezza di questo Cristo che ci ama, a cui stiamo a cuore. Ci ama a tal punto da piangere con noi e per noi. Così come ha pianto sulla tomba di Lazzaro. SI, Dio piange, egli non è un Dio imperturbabile, immobile nella sua perfezione che veglia su tutti ma ignora il singolo, il pianto di Gesù ci rivela il vero volto del Padre. Dio piange perché ci ama. Anzi: mi ama, ama me, suo amico.

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Messaggio  Pace e Bene Mar Apr 12, 2011 4:03 pm

«Io sono», la sorgente della salvezza.

Gesù preannuncia ripetutamente la sua prossima morte. La trama dei suoi avversari gli si stringe attorno come una morsa. Egli però vuole far intendere senza equivoci, che quanto sta per accadere è «l'opera di Dio», è un ardore incontenibile a condurlo. Egli, compiuta la sua missione, desidera «andare», ricongiungersi al Padre. Il suo sarà un percorso di gloria, che sarà però negato ai suoi avversari. Diceva loro: «Io vado e voi mi cercherete, ma morirete nel vostro peccato. Dove vado io, voi non potete venire». L'incredulità ostinata non consente più di muoversi sui sentieri di Dio. È una forma di cecità che oscura e deforma anche l'evidenza, rinnega anche le eterne verità di Dio. Gesù però non scende a compromessi; le verità che egli proclama hanno una provenienza soprannaturale e non possono essere adattate alle menti degli uomini o alle circostanze della vita: sono immutabili, eterne. «Io dico al mondo le cose che ho udito da lui». Parla del Padre e s'identifica pienamente con Lui: «Disse allora Gesù: «Come mi ha insegnato il Padre, così io parlo». E aggiunge: «Quando avrete innalzato il Figlio dell'uomo, allora saprete che Io Sono». «Io sono» è l'appellativo di Dio, così si era rivelato a Mosè nella grande teofania sull'Oreb. Alle orecchie degli scribi e dei farisei questa affermazione di Cristo risuona come blasfema e sarà di fatto uno dei capi d'accusa che muoveranno a Gesù nel processo, che sancirà la sua condanna a morte. Nessuno vuole comprendere che da quella morte sgorgherà la sorgente inesauribile della vita nuova. Rinnegando la persona del Figlio, rifiutando di «conoscerlo», si rinnega Dio stesso, si rifiuta la salvezza, si rimane invischiati nel male e nella morte del peccato. Eppure appare evidente anche ai nostri giorni quanto sia urgente per ciascuno di noi e per l'umanità intera trovare un ancora sicura di salvezza. Forse siamo invasi dentro e fuori di noi da una schiera di falsi cristi e perfino di anticristi.

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